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venerdì 14 aprile 2017

#RecensioniperEsordienti: Anime di Luce. Perseo, Lina Giudetti

Ecco con un nuovo appuntamento dedicato agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ per proporvi recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo.

Per chi di voi ancora non li conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti e ChanceinComune sono due portali online nati dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere.

E allora proseguiamo con la nostra avventurosa partnership con la recensione di un romanzo affascinante e suggestivo, Anime di Luce. Perseo, di Lina Giudetti: buona lettura!


Anime di Luce - Perseo è un romanzo poderoso, carico di fantasia e abilità descrittiva: inquadrarlo in un solo genere letterario sarebbe forse riduttivo, poiché l'autrice, una giovane e talentuosa Lina Giudetti, sa navigare abilmente nelle mille sfaccettature della narrativa contemporanea: dal fantasy al racconto mitologico, dal romanzo rosa a quello di formazione, passando attraverso il più classico e affascinante romanzo d'avventura, capace di incollare il lettore fino all'ultima pagina.

I puristi della mitologia greca non storcano il naso per questo: Giudetti specifica fin dall'inizio la volontà di proporre una rivisitazione, personalissima e originale, di uno dei miti più classici, quello di Perseo e Andromeda, uno dei racconti più romantici e struggenti dell'intera letteratura classica di genere.

La storia infatti, ripresa direttamente dal IV Libro della "Metamorfosi" di Ovidio, diventa una versione romanzata, nonché un affresco pittoresco, di un'intera civiltà, narrata con tutti i suoi pregi (e i suoi difetti).

Oltre al fascino romantico della storia d'amore tra Perseo, eroe estremamente umano e dai profondi valori morali, e Andromeda, una fanciulla abbandonata, sola, di fronte a un destino più grande di lei, fattore che diventa centrale nella narrazione, fondamentale anche i numerosi e puntuali richiami ad altre civiltà e particolari mitologie: quella greca, ovviamente, unita a precisi cenni a quella egizia e, addirittura, atlantidea (ambito in cui l'autrice mostra una cultura sterminata).

Insomma, un romanzo completo, suggestivo e importante, un'epopea profondamente umana e, proprio per questo, incredibilmente emozionante.

martedì 4 aprile 2017

#libri: Central Park, Guillame Musso

New York. 
Otto del mattino. 
   Alice, una giovane poliziotta di Parigi, e Gabriel, pianista jazz americano, si svegliano ammanettati tra loro su una panchina di Central Park. 
   Non si conoscono e non ricordano nulla del loro incontro. 
La sera prima, Alice era a una festa sugli Champs-Elysées con i suoi amici, mentre Gabriel era in un pub di Dublino a suonare. Impossibile? 
   Eppure... Dopo lo stupore iniziale le domande sono inevitabili: come sono finiti in una situazione simile? 
   Da dove arriva il sangue di cui è macchiata la camicetta di Alice? 
Perché dalla sua pistola manca un proiettile? 
   Per capire cosa sta succedendo e riannodare i fili delle loro vite, Alice e Gabriel non possono fare altro che agire in coppia. 
   La verità che scopriranno finirà per sconvolgere le loro vite. 
Un thriller magistrale - oltre un milione di copie vendute in Francia - che conquista il lettore sin dalla prima scena e lo avvolge in una spirale implacabile.



Come possiamo già intuire dalla trama, il ritmo di questo romanzo, "Central Park", dello scrittore francese Guillame Musso, è incalzante, perfettamente strutturato, adrenalinico oltre ogni immaginazione.
   La capacità di sorprendere, spiazzare il lettore ad ogni pagina è sicuramente il tratto saliente, nonché il maggior pregio di quest'opera: apparentemente ci si avvicina alla realtà dei fatti, la verità sembra sempre dietro l'angolo ma, dopo un istante di esitazione, le carte in tavola vengono immediatamente capovolte, fino ad arrivare all'incredibile epilogo, che va a toccare anche tematiche delicate, e non semplici da sviluppare in un romanzo, specialmente un thriller psicologico. 

Lo sviluppo narrativo è ineccepibile, ma ciò che colpisce al primo sguardo è la fortissima caratterizzazione dei personaggi: Alice è una donna forte, determinata fino alla testardaggine, protetta da una scorza dura che nasconde, scavando per bene, un'anima straziata dai ricordi di un passato difficile da digerire, anche per il lettore, una figura che ci mantiene in perenne tensione, ci fa rabbia, ci fa emozionare, commuovere e soffrire; Gabriel, al contrario, è un personaggio difficile da definire: un personaggio fluido, impossibile da cogliere e definire precisamente, lo conosciamo come pianista di jazz ma la sua evoluzione psicologica e personale sembra non avere mai termine.

Un thriller intenso che colpisce a fondo senza bisogno di ricorrere all'utilizzo di violenza, brutalità carnalità gratuite, come sempre più spesso accade specialmente in questo genere letterario, un volume che non si legge, si divora letteralmente nel giro di poche ore, grazie a un intreccio raffinato di sottile intelligenza, astuzia e fascino che conferma tutta l'eleganza della letteratura francese contemporanea.

venerdì 17 marzo 2017

#libri: Corpi, Antonio Giugliano

Nuovo appuntamento con lo spazio dedicato esclusivamente agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ e il portale Chanceincomune.it, due siti ricchi di recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo. 

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere. 

E allora proseguiamo la nostra avventurosa partnership, con la recensione di una giovane esordiente dall'indubbio talento: quest'oggi parliamo di Corpi di Antonio Giugliano: buona lettura!


Narrare l’amore romantico, quello più canonico, edulcorato dalla poesia, dalla narrativa rosa, è semplice, rassicurante, forse banale.
   Ma narrare di amori malati, carnali, sporchi, fatti di sesso, di perversioni, di momenti di violenza talvolta completamente gratuita, ecco che diventa difficile, fastidioso, fa venir voglia di nascondere la polvere sotto i tappeti, e i pensieri nei meandri più profondi e oscuri della mente.

Ma a sollevare questa cortina di ipocrisia ci ha pensato Antonio Giugliano, che con la sua silloge “Corpi”, colpisce il lettore senza mezze misure.
   Infatti Giugliano non ha timore di turbare o scandalizzare chi legge, anzi, è forse proprio questo che cerca: una critica feroce e “politicamente scorretta” al rapporto fra i sessi, una prosa dura costellata di termini volgari, forti, rubati al parlato e fortemente evocativi di situazioni che disturbano il lettore gettandolo in una dimensione tutto fuorché rassicurante.

Una cartina al tornasole che ci racconta l’aspetto più patologico del rapporto di coppia ma, soprattutto, del rapporto che ciascuno di noi ha con se stesso, un mondo pornografico e dolceamaro dove incubi e spauracchi del presente e del passato riemergono prepotentemente e dove è incredibilmente semplice perdersi, un po’ meno riuscire a fuggirne.

Una prova notevole che avvicina il giovane autore alla narrativa più cruda e alla grande tradizione letteraria degli anni Novanta, alla Irvine Welsh, per intenderci, un autore che non ha timore di sporcarsi le mani nel sudiciume della società contemporanea, trapassando più volte, e a fondo, il limite tra moralità e indecenza, tra realtà e onirico, tra terrore e tentazione.

giovedì 9 marzo 2017

#libri: Quisilio Miraglia, il punto d'incontro tra poesia e critica sociale

Esistono numerosi e vari modi di esprimere un disagio, specialmente quando si parla d’arte: c’è chi straccia una tela con un coltello, chi la dipinge con violenza, affidandosi interamente a materici e nervosi schizzi di colore, chi urla la propria rabbia in musica, e chi decide di farlo giocando con le parole.

Nella schiera di questi “poeti sovversivi” troviamo sicuramente Quisilio Miraglia, casertano classe 1993: diplomato al Liceo Scientifico di Mondragone, laureando in Letteratura, Musica e Spettacolo presso la Sapienza di Roma, membro del collettivo artistico Menti Colorate, nonché direttore “della censura” in Rapsodia - rivista letteraria indipendente, fondata con l’amico Claudio Landi nel 2014.

Il buon Quisilio è maestro nella nobile arte della poesia e dei giochi del linguaggio, capace di giocare sui rapporti tra ritmo e senso implicito del testo; d’altro canto, da uno che si dichiara “contro ogni forma di misticismo/romanticismo/estetismo/aulicismo poetico” e che “preferisce la forma al contenuto, pensando il contenuto come forma e la forma come contenuto”, non potevamo aspettarci diversamente.

Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, a colpire particolarmente sono alcuni “Giuochi di lingua e altri crimini”, componimenti che si avvicinano alla tradizione popolare dello scioglilingua, della filastrocca soltanto apparentemente infantile, carica di allitterazioni che, dietro al godimento acustico della lettura ad alta voce, nascondono riflessioni ben più amare.




Come nel caso di Metropolithanatos III:

Nelle zone d’ombra della cloaca mentale
la cimice del cemento scava a ritmo letale
tra le membra sfatte del sistema decimale
movimento consumato in un rito materiale
godimento stitico, libido fiscale
sacramento offerto all’omelia industriale
nel processo virale dell’asservimento
disperdo il seme spento dell’io animale
riferisco in digitale l’auto-annullamento
le sensazioni crude, al di là del condimento
[assioma laterale
del nostro fallimento]
ripulisco i nervi nascosti in superficie
i bisogni meccanici numerati a matrice
[memoria larvale
di una scomoda radice];
negli emicicli vuoti della gloria morale
la pietra gorgheggia il decreto finale:
– castrare il dio che non possa generare
demolire i simulacri per poter ricordare
violentare lo sguardo per riuscire a vedere
dopotutto: meglio tradire che imbalsamare

Una critica ben oculata potrebbe, in questo caso, annientare la potenza dei versi, per cui occorre muoversi con cautela: il messaggio, pur abbellito e impreziosito da gorgheggi stilistici, sintattici e morfologici, arriva forte e chiaro, la critica sociale al mondo contemporaneo è come uno schiaffo in faccia al lettore che, probabilmente, legge con un occhio allo smartphone e la mente altrove – d’altronde è forse questa l droga più potente del XXI secolo.

Guai a pensare troppo, guai a guardare al passato cercando di trarne insegnamento e monito per il futuro,  guai ad ammettere il fallimento di una società così evoluta e, allo stesso tempo, così “deficiente”.
   Non c’è spazio per il libero pensiero, non c’è spazio per il libero arbitrio, la “morte metropolitana” avvolge tutti nella sua nebbia, nella sua cortina impenetrabile, e noi possiamo scegliere di assuefarci o combattere, anche soltanto a colpi di versi e ironia pungente. 

"Questo articolo è apparso su Paper Street. Per gentile concessione"
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/quisilio-miraglia-il-punto-dincontro-tra-poesia-e-critica-sociale.html

giovedì 2 marzo 2017

#libri: Fuori dal baratro! Cultura cittadina e perversioni moderne, Eliaba

Nuovo appuntamento con lo spazio dedicato esclusivamente agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ e il portale Chanceincomune.it, due siti ricchi di recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo. 

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere. 

E allora proseguiamo la nostra avventurosa partnership, con la recensione di una giovane esordiente dall'indubbio talento: quest'oggi parliamo di Fuori dal baratro! Cultura cittadina e perversioni moderne di Eliaba: buona lettura!


Zì ‘Ntonie è un centenario abruzzese, saggio, duro e coriaceo come la sua terra. 
   Ma Zì ‘Ntonie è anche il protagonista di Fuori dal baratro! Cultura cittadina e perversioni moderne, il simbolo di una cultura contadina che, nel pensiero dell’uomo contemporaneo, non ha meritato il suo degno posto nella storia, un testimone silenzioso di eventi, cambiamenti e, troppo spesso, degenerazioni della cultura dell’”animale uomo”.
   Il merito di far rivivere le sue parole è del buon Elìaba (pseudonimo di Donato De Francesco) che, nel suo volume, ha deciso di ripercorrere insieme al lettore anni di confronti con l’anziano sapiente.

Una scelta difficile, poiché sviluppare un intero volume giocato esclusivamente su una serie di riflessioni sulla cultura, la religione, la società civile (e non) non è avvero cosa semplice, piuttosto riuscita ma che non convince in toto: lo sviluppo dei temi procede logico e lineare, la sostanza c’è ed è ben evidente, tuttavia lo stile, nonostante si sviluppi in forma dialogica per la complessiva durata del libro, risulta a tratti prolisso e, in rari casi, pesante.

Fattori che, tuttavia, non intaccano la bellezza del flusso “istintivo” dell’anima, capace di criticare con giusta ferocia l’ossessione moderna di creare “pacchetti nozionistici” finti, sterili, prodotto di una cultura troppo impegnata a preservare lo status quo di pochi eletti e a uccidere senza pietà l’ingegno e le capacità che crescono innate nella nostra specie.

L’intera, corposa opera si basa sulla dualità, sul contrasto tra cultura contemporanea, con tutte le miserie di un contesto storico infelice, corrotto, marcio al suo stesso interno, e desiderio profondo di un vero e proprio ritorno alla sacralità della cultura contadina, quella più autentica, fatta di valori profondi e troppo spesso marginalizzata, ignorata.
   Una lettura che va affrontata con serietà e impegno, dedicata a coloro che vogliono guardare oltre, liberarsi dalle pesanti catene che ci siamo costruiti con le nostre stesse mani, far librare quelle ali che ci sono state donate per volare sempre più in alto, non per vivere un’esistenza omologata e vigliacca.

giovedì 23 febbraio 2017

#libri: Chavela, un'icona di stile

Un mondo raro è un mondo strano, sospeso tra realtà e magia, intriso tanto di tequila quanto di passione, un mondo fatto di racconti e verità ancestrali, dove una donna, una piccola, grande, fragile, potente donna, da sola, può prendere in mano il proprio destino e plasmarlo fregandosene delle convenzioni, vivendo soltanto di musica, di amore, di dolore, di libertà.

Il mondo raro è quello appartenuto a Chavela Vargas (1919-2012), una delle voci più importanti e meravigliose dell’America Latina, una Edith Piaf messicana che è stata amante di Frida Kahlo e Ava Gardner, musa di Almodòvar e icona omosessuale capace di rompere gli schemi di un intero secolo. 

La sua, una carriera iniziata negli anni ’40 dopo un'infanzia difficile e dolorosa vissuta in Costa Rica, una giostra capace di correre e girare velocissima, intaccata da vent’anni di alcolismo e dal rischio di sprofondare definitivamente nell'oblio; una carriera (e una vita) ricominciata grazie a un incontro misterioso, che ha riportato la cantante alle scene mondiali, seppur dopo molte primavere.

Ad oggi, il merito di aver riscoperto e raccontato la vita di quest'artista così unica e immortale è di due giovani musicisti palermitani, Antonio Dimartino e Fabrizio Cammarata: difatti “Un mondo raro. Vita e incanto di Chavela Vargas” nasce proprio da un viaggio compiuto da Palermo a Città del Messico alla scoperta dell’universo di una vera e propria istituzione della musica messicana, scomparsa nel 2012 a 93 anni dopo una vita vissuta sempre al massimo, sotto ogni aspetto possibile.      Un viaggio che si può letteralmente toccare con mano nelle circa duecento pagine di questo intenso romanzo, perfettamente in grado di restituire una vivida immagine della sua protagonista (poncho rosso sulle spalle, sigaro in bocca e pistola nella fondina) e della bellezza carnale del Messico nei suoi anni d'oro.



La “negritudine”, quel calore profondo tipico delle culture del Sud America, sa stregare il lettore anche grazie a uno stile empatico, suggestivo, ai continui salti temporali che ci mostrano, alternativamente, una Chavela (o meglio, una Isabelita) bambina, già diversa dalle sue coetanee, più profonda, matura, e un'adulta inconsapevolmente sensuale, capace di stregare la dama di Casa Azul con un solo sguardo.

E da qui un'epifania di artisti, Frida, Diego Rivera, Jiménez, García Lorca, le notti brave impregnate di alcol e umori, i primi concerti con i gruppi di mariachi più disparati, l'intensità della ranchera, così carica di vita e di morte da risvegliare la coscienza di un Paese a partire dal basso, da quella cultura popolare incredibilmente viva e mai dimenticata.

Insomma, “Un mondo raro” ha il grande, inestimabile pregio di farci vivere, sfogliandone le pagine, un'avventura indimenticabile: la colonna sonora c'è già, a questo punto basta soltanto chiudere gli occhi e abbandonarsi a Chavela, alla sua voce, a quel graffio potente capace di squarciare l'anima di chi l'ascolta.

"Questo articolo è apparso su Paper Street, per gentile concessione". 
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/chavela-vargas-un-mondo-raro-antonio-di-martino-fabrizio-cammarata-album-libro-recensione.html

mercoledì 15 febbraio 2017

#libri: Storia di un corpo, Daniel Pennac






Mangiare, dormire, evacuare (ebbene sì, scandalo supremo!), fare l'amore, ammalarsi, guarire, provare dolore, provare piacere: tutti fattori che diamo per scontati, catene logiche che seguono il principio di azione/reazione, processi apparentemente banali che il nostro corpo compie quotidianamente, da quando veniamo al mondo, con un sonoro vagito, al saluto estremo, più o meno eclatante e sofferto che sia.








E proprio questi processi sono alla base di Storia di un corpo, ennesimo capolavoro del genio creativo e inesauribile di Daniel Pennac, una storia puramente corporea elevata a poesia altissima, una lirica espressa in modo spesso prosaico, ma spaventosamente efficace.

Perché non c'è nulla di più meravigliosamente imperfetto della macchina del corpo umano, nulla di più umoralmente sublime, questo il messaggio, di portata fondamentale, che ci dona Pennac, con la curiosità e la tenerezza del suo sguardo attento e bonariamente indagatore, con l'amore con cui osserva questa variegata e fantasiosa umanità.

Un vero e proprio diario personale che non scivola mai nel sentimentale, un trattato di anatomia umana decisamente sui generis, il dono fatto da un padre all'amata figlia, il racconto di una vita osservata con indulgente divertimento: dalla prima infanzia, segnata dalla morte del padre e da una madre lontana dal sui ruolo canonico, alla giovinezza caparbia e vissuta fino in fondo, alla vecchiaia, quel tunnel che conduce inesorabilmente alla morte, una dipartita narrata con toni lievi, leggeri, come solo il professore più amato al mondo sa fare.

Perché non c'è vergogna nel corpo umano, nelle sue funzioni, solo bellezza, da custodire e raccontare senza falsi pudori.

lunedì 6 febbraio 2017

#RecensioniperEsordienti: Condannati a morte, Paola Di Nino

Nuovo appuntamento con lo spazio dedicato esclusivamente agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ e il portale Chanceincomune.it, due siti ricchi di recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo. 

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere. 

E allora proseguiamo la nostra avventurosa partnership, con la mia recensione di una giovane esordiente dall'indubbio talento: quest'oggi parliamo di Condannati a morte di Paola Di Nino: buona lettura!


Condannati a morte è un romanzo coraggioso, forte, che non ha paura di affrontare un tema tanto attuale quanto scomodo: quello della violenza e degli abusi nelle carceri. 

La protagonista femminile tratteggiata da Paola Di Nino è una guardia carceraria che non si accontenta di svolgere il proprio compito a testa bassa, senza porsi domande. 
   Il suo senso di giustizia la porta a combattere per la causa di Koray e Azmiye, fratello e sorella condannati ingiustamente, vittime silenziose di una giustizia che troppo spesso è impegnata a perseguire i propri interessi piuttosto che scovare i veri colpevoli di un sistema malato. 

Una vicenda dove il canonico lieto fine è sostituito dall'amarezza della sconfitta, unito tuttavia alla speranza, quella che le tante anime abusate possano avere, anche dopo la morte, un barlume di verità.

L'autrice narra una storia difficile e lo fa in prima persona, catapultando il lettore all'interno di un carcere come tanti, facendoci percepire a pelle il dolore, la sporcizia, l'umiliazione e la violenza alla quale ci siamo ormai, tristemente, assuefatti. 

Leggendo questo volume ci si immedesima facilmente nella protagonista, nella sua frustrazione durante la ricerca di prove e alleati con cui combattere una guerra che potrebbe sembrare già persa in partenza, nell'ulteriore difficoltà di essere donna in un ambiente di soli uomini (o, per meglio dire, di soli maschilisti), il senso di soffocamento di chi annaspa in un mare di corruzione dilagante.  

Proprio per rendere al meglio questo spettro cromatico personale la narrazione procede al ritmo delle emozioni della protagonista, diventando fin dalle prime pagine un racconto intimistico ed emozionante scritto con uno stile fluido, mai banale e coinvolgente. 

Un esordio decisamente importante, dove la bravura dell'autrice si vede specialmente nella cura dedicata all'aspetto introspettivo dell'opera, e nella scelta di raccontare la vita in un penitenziario, contesto ancora sconosciuto (volutamente?), specialmente nel nostro Paese.  

lunedì 30 gennaio 2017

#cinema: È la stampa, bellezza, la stampa... e tu non ci puoi far niente!

Oggi, più che un semplice articolo "a tema libero", voglio proporvi una vera e propria "mini apologia di genere". Di quale categoria si tratta?
   Già dal titolo dovreste chiaramente comprenderlo, il nostro Humprey Bogart non ce le manda certo a dire nell'ultima, celeberrima battuta de L'ultima minaccia: stiamo parlando di quella più odiata, bistrattata e criticata di sempre, i giornalisti, of course.

Ci odiano quando scriviamo di cose serie perché "basta fare gli sciacalli sulle disgrazie altrui", ci odiano quando scriviamo di amenità perché dovremmo pensare alle cose serie, ci odiano quando scriviamo di politica perché tanto "siamo tutti corrotti", e allora di cosa dovremmo ben scrivere, gioie belle, del fatto che non esistono più le mezze stagioni e che una volta i treni arrivavano in orario (senza gridare al "gomblotto" contro Trenitalia, che non sia mai!)?!

Che molti cronisti d'assalto si facciano pochi scrupoli morali e deontologici siamo d'accordo tuttavia, nonostante le critiche e gli accidenti vari, il cinema ci viene in soccorso: infatti il grande schermo, specialmente a stelle e strisce, ha più volte sottolineato l'importanza di questa professione, proponendo pellicole che narrano inchieste su temi scottanti, magistralmente condotte nel loro intento di denuncia sociale (e non solo).

E allora, se volete scoprire questa top 5 tanto apologetica quanto affascinante, vi basta un click qui ;)


venerdì 27 gennaio 2017

#libri: I giorni dell'abbandono, Elena Ferrante





Una donna, un uomo, un amore, la fine di una storia, questi i protagonisti del romanzo “I giorni dell’abbandono”, opera intensa della misteriosa scrittrice Elena Ferrante, la partenopea di cui nulla si sa se non il nome.

Tutta la vicenda ruota attorno a Olga, una donna appagata, madre di due figli che ama, detentrice di una vita serena, una donna "normale" che viene improvvisamente catapultata in un incubo.
   Mario, suo marito, quell'uomo tanto amato e desiderato, senza dare nessun segnale di preavviso, la lascia, vittima di un “vuoto di senso” che non riesce a colmare.





Già, peccato che il “vuoto di senso” si identifichi in Carla, una ragazza di vent'anni appena che gli ha fatto completamente perdere la testa, una relazione che cresce per ben cinque anni all'insaputa di Olga che, fragile, ferita, incerta, decide inizialmente di credere fermamente alle parole del marito, fidandosi di lui, rivivendo la sua storia d'amore, giustificando il suo uomo, cercando di comprendere, mentre sullo sfondo tutta la sua esistenza sta andando a scatafascio: le notti diventano troppo fredde, sole, i gesti perdono il loro significato, i figli diventano un'appendice fastidiosa, la vita stessa inizia a pesare.

Giorno dopo giorno Olga sfiorisce, perde il suo fascino, l’eleganza, la sicurezza ma soprattutto il controllo su se stessa e sugli altri, nel momento in cui si accorge che gli sguardi degli amici diventano di compatimento, diventando così una donna eccessiva, violenta e sfrontata, usando un linguaggio sboccato che non le appartiene, solo per non farsi vedere disperata, devastata e sofferente.

L'abisso nel quale precipita Olga sembra senza fine, il dolore diventa rassegnazione, la disperazione le fa perdere lucidità, giorno e notte, buio e luce, sonno e veglia si mescolano in una realtà allucinata e frustrante. 
   Ma, una volta toccato il fondo, non si può far altro che risalire: e allora, tra i cocci di un'esistenza spezzata, Olga troverà dentro di sé la forza di continuare a vivere, pian piano, un passo alla volta, un'emozione alla volta.

I giorni dell’abbandono” è un romanzo che racconta dell’intimità di una donna segnata nel profondo, del coraggio di ricostruirsi una vita per sé e per i propri figli, della volontà di rimettersi in gioco, con uno stile narrativo forte, violento, impetuoso, che non lesina espressioni colorite, in grado di trasportare il lettore direttamente all'interno del romanzo, di suscitare emozioni forti: dolore, disgusto, sofferenza, ma anche caparbietà e uno spiraglio, fortissimo, di speranza.

venerdì 20 gennaio 2017

#libri: Augustus Carp. L'autobiografia di un vero galantuomo, Henry H. Bashford



Augustus Carp è ciò che di più che lontano si possa immaginare dalla figura di un eroe letterario: pedante fino alla nausea, linguaggio affettato, fanatico religioso q.b., ipocrita all'inverosimile, senza speranza di redenzione, né di diventare, perlomeno, un po' più simpatico al lettore.
   Sì, perché Augustus Carp, protagonista dell'omonimo romanzo dal sottotitolo decisamente eloquente, "L'autobiografia di un vero galantuomo", è un personaggio volutamente odioso, la personificazione del tipico borghese di età vittoriana, un signorotto borioso la cui unica mission nella vita, oltre quella nondimeno ambiziosa di arricchirsi e combinare un matrimonio vantaggioso, è di redimere e soffocare qualsiasi condotta considerata voluttuosa o eccessivamente peccaminosa.



E allora eccolo, uomo viscido e meschino, vendicativo e ottuso, ma furbo abbastanza per sfruttare a suo favore le casualità della sua esistenza, vediamo il nostro Augustus iscritto alle più svariate associazioni cristiane, impegnato fermamente nella lotta all'abuso di alcol, fumo, alle rappresentazioni teatrali e di danza (pericolose e fuorvianti...), pronto a fare le scarpe al prossimo pur di avanzare nella gerarchia dei "fedeli servitori di Dio onnipotente", rendendosi odioso al 99% periodico della popolazione londinese.

La cosa che più colpisce di questo volume, oltre all'ironia che permea per intero la narrazione, è il suo autore: Henry H. Bashford.
   Simpatico umorista britannico? Consumato scrittore di satira pungente?
No, un Sir, illustre medico e studioso, Medico Onorario di Re Giorgio VI, autore di numerosi articoli di carattere scientifico e opere di fiction e non-fiction, insomma, un uomo di scienza che, nel tempo libero, si è dilettato nella stesura di questo romanzo, datato 1924, che venne inizialmente pubblicato come opera anonima, per essere poi definito da Anthony Burgess "Uno dei più grandi romanzi comici del XX secolo".

Nel complesso, un gioiello di ironia letteraria, un vero libro comico, una cosa rarissima in effetti, ed estremamente moderna, specialmente se pensiamo che è stato scritto quasi cent'anni fa; una satira pungente (che batte 10 a 0 anche quella odierna, che il coraggio troppo spesso se lo dimentica a casa...), un gioiellino letterario per palati raffinati, un piccolo cult da riscoprire senza esitazione.

lunedì 16 gennaio 2017

#libri: L'uomo che metteva in ordine il mondo, Fredrik Backman






Ove ha 59 anni, guida soltanto automobili a marchio Saab, olia i ripiani della cucina a cadenza regolare e ama le regole. Insomma, una vita semplice, la vita di un uomo che ha sempre lavorato, pagato le tasse, che si è sempre comportato bene insomma, un uomo di poche parole ma di sani principi.
   Un uomo che, per tutta la durata del libro, vuole esclusivamente, fortemente, assolutamente, suicidarsi.

 




Sì, perché Ove è anche un uomo depresso, frustrato da un passato doloroso, profondamente ferito dall'enorme vuoto lasciato dalla scomparsa dell'amata moglie, Sonja, che un tumore gli ha strappato dalle mani, ferite che l'hanno trasformato in un rompiscatole cronico, ossessivo - compulsivo, uno sceriffo autoproclamato che ha come unico obiettivo punire anche la minima trasgressione alle norme da parte dei suoi vicini di casa, l'unico modo che ha per portare un po' d'ordine nella sua vita ridotta in tanti, piccoli pezzi.

Insomma, un personaggio forte e ben tratteggiato, quello protagonista de “L’uomo che metteva in ordine il mondo”, una storia nata sul blog di Fredrik Backman, giornalista svedese, e divenuta immediatamente un microcosmo abitato da personaggi insoliti, caratteristici, indimenticabili.
   Si tratta di una vera e propria fiaba contemporanea, dolceamara, inizialmente deprimente, ossessiva, che ben esprime il disagio di alcune dinamiche della nostra società, ma che poi spicca il volo, anche grazie all'entrata in scena di nuovi personaggi, ciascuno dalla precisa e magistrale caratterizzazione: Parvaneh, giovane mamma iraniana, in dolce attesa, nonché moglie dell'”Imbranato”, esilarante e impacciato tecnico informatico; Jim, ventenne omosessuale sempre in lotta con la bilancia; Rune e Anita, gli anziani vicini di Ove, e un'infinita galleria colorata, pittoresca, che risulterebbe assolutamente perfetta per una trasposizione cinematografica.

Il pregio più grande di questo volumetto è senz'altro l'empatia che suscita nel lettore, ottenuta tramite uno stile semplice, colloquiale, profondamente ironico, tipico del filone tragicomico della letteratura scandinava (Arto Paasilinna e Jonas Jonasson insegnano) che sta affermando il proprio impatto sulla narrativa mondiale in maniera sempre più potente.

Nel complesso, un volume consigliato a chi vuol conoscere una storia d’amore indistruttibile, a chi ha un amico da una vita con cui litiga un giorno sì e l'altro anche, a chi possiede un “anormale” concetto di “normalità”, a chi ha voglia di ridere e contemporaneamente piangere ad ogni pagina voltata, a chi adora le storie di rinascita senza ipocrisie e inutili colate di melassa, a chi ha voglia di emozionarsi, punto e basta.

"Questo articolo è apparso sulla rivista Paper Street. Per gentile concessione."
http://www.paperstreet.it/cs/leggi/luomo-che-metteva-in-ordine-il-mondo-fredrik-backman.html

sabato 14 gennaio 2017

#RecensioniperEsordienti: Sensibilità, Roberto Di Molfetta

Ecco con un nuovo appuntamento dedicato agli scrittori esordienti, nato in collaborazione con il sito http://www.recensioniperesordienti.it/ per proporvi recensioni, focus e interviste agli autori che si affacciano per la prima volta nel variegato mondo letterario che noi lettori famelici tanto amiamo.

Per chi di voi ancora non lo conoscesse, provvedete subito, mi raccomando: RecensioniPerEsordienti.it è un portale online nato dalla passione di un gruppo di ragazzi per la lettura, la scrittura e la narrativa, un team che ha tanta voglia di mettersi in gioco e diffondere la cultura nel web, un team ben consolidato di cui faccio parte anch'io, con grande piacere.

E allora proseguiamo la nostra avventurosa partnership con la recensione di un giovane autore che promette decisamente bene: quest'oggi parliamo di "Sensibilità", di Roberto Di Molfetta. 

Buona lettura!


Come si guarisce da un “eccesso di sensibilità”? Ma soprattutto, è veramente il caso di “guarire” da una simile caratteristica dell’animo umano? 
   Assolutamente no, parola di Roberto Di Molfetta che, nel suo saggio intitolato appunto Sensibilità, ci conduce per mano alla scoperta di una vera e propria apologia di genere, estremamente emozionante.

Nella stesura del suo libello, l’autore chiarifica immediatamente il concetto classico di sensibilità, distinguendo fra una sensibilità attiva (sinonimo di “cura”, intensa e partecipata attenzione per le cose del mondo) e una passiva (che diventa permeabilità – e fragilità – rispetto a ogni tipologia di emozione, positiva o negativa che sia), proponendo riflessioni al lettore tratte dal proprio vissuto ma anche da frammenti ricavati dagli scritti di grandi pensatori (da Jung a Baudelaire, da Leopardi a D’Annunzio, Osho e Shopenhauer).

Proprio perché così profonda e personale, la categorizzazione di quest’opera diventa impresa particolarmente ardua: saggio, per la serietà con la quale viene affrontato l’argomento, ma anche diario intimo, segnato da esperienze personali indelebili, e ancora opera di ricerca filosofica, per le grandi domande sottese fin dall’inizio, e raccolta di aforismi, sempre fedeli al tema comune. 

Un affresco policromatico, dove i colori sono dati dalle emozioni e dal sentire umano, empatico, capace di coinvolgere il lettore e catturarlo con sapienza, fornendo numerosi spunti di riflessione e una sorta di “conforto” a chi, in un mondo dominato principalmente dalla legge del più forte, dalla prepotenza, dall’arroganza, crede ancora nel potere taumaturgico dell’amore, la massima espressione dell’essere umano, della speranza, della musica, forma d’arte di sublime bellezza e, più in generale, dell’umanità. 

lunedì 9 gennaio 2017

#serieTv: La mafia uccide solo d'estate

“La sagra dei buoni sentimenti“. “Una serie infarcita di archetipi e stereotipi, ma d’altronde dalla Rai cosa potevamo aspettarci?!” “Ma la mafia non è questo, Pif è troppo sentimentale“.

In questi giorni di vaccate su La mafia uccide solo d’estateLa serie, ne ho sentite davvero di tutti i colori. Ma sapete cosa vi dico? Che a me questa serie piace un sacco.
   Sì, mi piace perché Pif sa raccontare la malavita palermitana con toni leggeri ma mai superficiali, mi piace perché quella interpretata da Claudio Gioè, Anna Foglietta, Angela Curri ed Eduardo Buscetta è una famiglia tradizionalmente coraggiosa, capace di dare un messaggio forte anche a chi, nella famiglia, ci crede poco. E infine mi piace perché Eduardo Buscetta, alias il piccolo Salvatore, è tanto bellino quanto talentuoso, e sa emozionare parlando d’amore e di mafia con la voce (e gli occhi) di un bambino di dieci anni, una vera e propria scoperta del piccolo schermo nostrano.


La prima stagione de La mafia uccide solo d’estate sa trasportare lo spettatore nella Palermo del 1979, una città fatta di efferati delitti ma anche di grandi uomini come Boris Giuliano e il giornalista Mario Francese.
   La trama è un mix di commedia e dramma, l’ironia plasma l’intera messa in scena ma senza mai essere eccessiva, il risultato è efficace, l’intento pedagogico e didascalico mantenuto, evitando abilmente la pedanteria di tanta filmografia di genere.


Infatti è evidente che spiegare la mafia al grande pubblico, raccontarla, è possibile, difficile ma possibile, e lo si può fare usando la storia di un bambino come metafora, seguendo le vicende dei suoi suoi genitori e di sua sorella nel quotidiano, con una voce narrante divertente e autentica e una sapiente regia, quella di Luca Ribuoli, sempre un passo indietro per lasciare spazio agli attori, alla storia e alle scene, perfettamente costruite e contestualizzate. Meritano un plauso speciale anche la sceneggiatura, firmata da Stefano Bises, Michele Astori e Michele Pellegrini, e la fotografia, di Ivan Casalgrandi.


La mafia uccide solo d’estate ha il duplice e arduo compito di prendere in giro la mafia ma anche di far riflettere sugli anni più oscuri del nostro Paese, attraverso un racconto sull’eterno conflitto tra bene e male, tra eroi e antieroi, tra coraggiosi e ignavi, così lo stesso Pif aveva spiegato il suo ambizioso progetto, qualche tempo prima della messa in onda.

Un progetto che mostra anche la volontà, da parte di mamma Rai, di proporre ai suoi annoiati telespettatori delle fiction di qualità, che si distaccano completamente dai prodotti triti e ritriti che siamo abituati a vedere (ne è un esempio anche il buon Rocco Schiavone, che sta altrettanto spopolando tra il grande pubblico).


Nel complesso, direi che Pif è perfettamente riuscito nel suo intento: la forza de La mafia uccide solo d’estate sta proprio nell’aver saputo trovare il giusto equilibrio tra temi difficili e una narrazione corale, intensa, dai toni nazionalpopolari, nell’aver dimostrato, una volta di più, che la Storia non è fatta di buoni e cattivi ma di persone, di uomini e donne che hanno fatto la Storia, l’hanno subita e hanno saputo riscriverla a modo proprio, a suon di sacrifici, lacrime, sangue e sorrisi.

Articolo pubblicato su TheMacGuffin.it

martedì 3 gennaio 2017

#film: MI-TI-CO! STORIE DI EPOS, MUSCOLI E ADRENALINA A GO-GO

Da buona classicista, prima o poi doveva succedere: potevo forse esimermi dal proporvi una classifica dei migliori film sulla mitologia classica?
   No, certo che no, ma niente paura: se alle parole “classico” o “epos” vi vengono in mente infiniti pipponi storici o l’odore di naftalina dell’armadio della nonna, siete decisamente fuori strada.
   Infatti Hollywood si è divertita parecchio, negli ultimi 60 anni (e più), a giocare con l’epica greca e romana, rendendola ancor più carica di pathos, violenza, bei fusti oliati per bene e sordidi amori clandestini. 

Perché si sa, Eros e Thanatos vanno a nozze, e se ci aggiungi anche qualche scenetta alla Cinquanta sfumature, allora, è la morte sua.

E quindi bando alle ciance, vediamo che top 5 ci ispirerà quest’oggi la nostra Musa… vi basta un click qui ;)